Sentieri Selvaggi: L’arco dei suoni [Teatro dell’Elfo, 5 marzo 2018]

Sentieri Selvaggi. Foto: Giovanni Daniotti
Luca Bertini

È iniziata “Crossroads” la nuova stagione dell’ensemble Sentieri Selvaggi presso il teatro Elfo-Puccini con un concerto inconsueto che impagina sestetto e settimino d’archi, ovvero formazioni poco praticate nelle sale da concerto. Una vera e propria piccola esplorazione del repertorio contemporaneo (o quasi) per piccolo ensemble di archi.

Si parte con Returning, un breve pezzo per sestetto scritto nel 2006 dal compositore britannico Mark-Anthony Turnage in occasione del cinquantesimo anniversario di matrimonio dei suoi genitori, una suggestione familiare e intima da cui è scaturito un pezzo lirico, per alcuni aspetti quasi sentimentale e molto inglese, in alcuni momenti quasi con una eco dei quartetti di Britten.

Poi il Sestetto per archi del 1985 di Franco Donatoni, un pezzo breve e frammentatissimo, visibilmente virtuosistico (soprattutto la parte del primo violino, che diventa a tratti quasi un mini-concerto solista – come ha sottolineato il direttore Carlo Boccadoro nella sua consueta introduzione – e decisamente molto bello, come tanti altri pezzi del cosiddetto “periodo positivo” del compositore veronese.

Foto: Giovanni Daniotti

Come finale Shaker Loops del compositore americano John Adams scritto nel 1978 e qui eseguito nella versione originale per sette archi (3 violini, viola, 2 violoncelli e contrabbasso) in quattro brevi movimenti: molto americano nell’atmosfera, difficilissimo da eseguire.
È interessante la genesi del titolo di questo lavoro. Gli Skakers sono una comunità quacchera puritana che si stabilì nel New England alla fine del ‘700. Erano famosi – Adams lo ricorda nella sua  interessante autobiografia Hallelujah Junction, pubblicata in Italia da EDT – per le loro preghiere arricchite da danze frenetiche e concitate, che, nella composizione, vengono rappresentate dai ribattuti nervosi degli archi che ne scandiscono il tempo, così come dagli impetuosi sforzati del terzo movimento.
Nella sua autobiografia Adams racconta la genesi di questo brano. Partito da Wavemaker, uno sfortunato quartetto d’archi scritto per il Kronos Quartet qualche anno prima, aggiunti tre archi (tra cui un “decisivo contrabbasso”) nasce Shaker Loops, uno dei lavori più celebri di Adams ed eseguitissimo in tutto il mondo. Rispetto alla versione successiva per orchestra d’archi, quella per settimino è più interessante ed emozionante. I Sentieri Selvaggi ne hanno dato un’interpretazione convincente dimostrando, come sempre, di essere molto a loro agio con un repertorio, quello cosiddetto post-modern, che frequentano con continuità.

Shaker Loops è un lavoro che si direbbe post-mimimalista, usando la definizione di Kyle Gann, ed introduce elementi emotivi, lirici, evocativi nel minimalismo americano in voga allora. Mentre nello stesso periodo Steve Reich (pensiamo a Music for a Large Ensemble proprio del 1978) e Philip Glass (North Star è del 1977, l’opera Satyagraha è di poco successiva) scrivono musica ancora molto austera, John Adams scrive due pezzi per pianoforte, China Gates e Persian Gates che ci introducono nel mondo di Shaker Loops, anticipandone il lirismo e una lieve nota sentimentale. Finisce l’attenzione per il processo graduale, per far posto a un clima più narrativo e meno austero. Nella sua produzione successiva, Adams andrà avanti su questa strada e tutte le suggestioni che troviamo in Shaker Loops si intensificheranno ed arricchiranno, diventando via via più complesse. Se si volesse trovare in Shaker Loops un limite, questo sta forse nel fatto di dimostrare i 40 anni che si porta addosso. Minimalismo e post-minimalismo in musica appaiono oggi come espressioni di un periodo un po’ lontano e non ancora del tutto post-moderno. I Sentieri Selvaggi con la loro interpretazione hanno avuto però il merito di farci rivivere quelle atmosfere quasi antiche.

marzo 2018 © altremusiche.it

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*