Scelsi poeta (pt. 1) – Il suono e la parola [MusicaPoesia / PoesiaMusica #1]

Adelio Fusé

Ora vorrei diventare suono.
Giacinto Scelsi (Il sogno 101, Seconda parte, Il ritorno)

 

Liaison d’Oltralpe

Giacinto Scelsi. Colonia, 1987. Foto: Gisela Gronemeyer.

L’homme du son (Actes Sud, Arles, 2006) è un titolo quanto mai appropriato: riassume l’estetica musicale scelsiana e getta subito un ponte fra il compositore e il poeta. Il volume a cui ci stiamo riferendo – benissimo curato da un conoscitore del mondo scelsiano come Luciano Martinis con la collaborazione di Sharon Kanach, che di Scelsi è stata assistente – non solo ripropone le prime edizioni dei libri di poesia di Giacinto Scelsi (Le poids net, L’Archipel nocturne, La conscience aiguë, éditions GLM, Parigi, 1949, 1954, 1962; Cercles, Le parole gelate, Roma, 1986) ma comprende inediti e diverse poesie sparse uscite su riviste, oltre a riproduzioni di manoscritti e documenti. Di particolare importanza gli inediti, provenienti da due raccolte ­– L’ordre de ma vie e Sommet du feu ­– presenti nel primo libro ma non in versione integrale; e Poèmes incombustibles 1935-1985, l’ultima raccolta approntata da Scelsi.

Con L’homme du son abbiamo così a disposizione l’intera produzione poetica scelsiana, tranne il poemetto Il ritorno, concepito da Scelsi come seconda parte dell’autobiografia Il sogno 101. Purtroppo il volume per ora è disponibile solo in edizione francese. La collana “Scritti di Giacinto Scelsi”, nata dalla collaborazione tra la Fondazione Isabella Scelsi e le edizioni Quodlibet, è ferma alla pubblicazione del titolo inaugurale, ovvero, proprio Il sogno 101 (2010). Evidentemente il destino ha previsto per Scelsi diritto di cittadinanza oltralpe, prima che in patria.

Per Scelsi, del resto, la Francia ha sempre rappresentato una sorta di terra d’elezione, se si pensa alle sue frequentazioni parigine, fin dagli anni Trenta, nell’ambiente musicale, artistico e letterario (da segnalare proprio l’amicizia con due poeti, Pierre Jean Jouve e Henri Michaux), o alle prime esecuzioni assolute della versione orchestrale di Rotativa (1931, esordio internazionale di Scelsi), della cantata per coro misto e orchestra La nascita del Verbo (1949, che chiude il primo periodo di Scelsi compositore) e dei celeberrimi Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola) (1959). Parigino era il primo editore di Scelsi poeta, Guy Levis Mano, singolare figura di editore-tipografo ‘creativo’-poeta. Inoltre, proprio in terra francese, ha preso slancio, nella seconda metà degli anni Settanta, la riscoperta scelsiana grazie ai compositori spettrali del gruppo de L’Itinéraire. Parigino è l’editore (Salabert) delle musiche scelsiane…

In Italia Scelsi poteva contare su una cerchia ristretta di ammiratori (a partire dai compositori e musicisti che gravitavano intorno a Nuova Consonanza); i suoi lavori venivano eseguiti raramente e Scelsi era relegato ai margini della scena musicale italiana. I più lo consideravano con sospetto, se non peggio: un aristocratico stravagante, un dilettante. Un millantatore: altri (sic!) scrivevano la musica per lui.

Negli ultimi decenni, mentre cresceva il prestigio internazionale di Scelsi, l’atteggiamento degli addetti ai lavori ­e del pubblico ­in Italia è gradualmente – e faticosamente – cambiato. Tuttavia rimane l’impressione che le vecchie polemiche e i vecchi equivoci e pregiudizi intorno al ‘caso Scelsi’ abbiano lasciato una scia sgradevole, capace ancora di provocare dubbi, diffidenza, perplessità.

 

Parola come evento sonoro

Manoscritto della poesia Sans quelqu’un, primi anni Trenta. (Fonte: da «i suoni, le onde… », Rivista della Fondazione Isabella Scelsi, n. 6, 2001)

Il versante di Scelsi poeta è ancora da esplorare. Che poeta è stato Scelsi? O, forse, dovremmo dire, che poeta è Scelsi, dato che la sua poesia non solo è fortemente connotata – al di là dei riferimenti, intenzionali o non voluti, a questo o quel poeta che si possono rintracciare: Jouve e Michaux, certo; Guillaume Apollinaire, Giuseppe Ungaretti, René Char –, ma per nulla ricoperta dalla polvere.

Rimane comunque la difficoltà di collocare la poesia scelsiana nella nostra letteratura del Novecento. Trattandosi di Scelsi, dunque di una figura al di fuori delle convenzioni, di scuole e movimenti, il problema della collocazione in fondo non deve stupire. E poi Scelsi scriveva in francese… Gli storici della letteratura italiana potrebbero tranquillamente dire che la questione non gli compete. In fondo Scelsi ha fornito loro un alibi formidabile: escluderlo senza doverlo prendere in considerazione.

L’utilizzo della lingua francese non va inteso come un vezzo ma è motivato da una necessità che si riscontra anche nella scrittura saggistica. A giudizio di Scelsi la lingua francese è foneticamente più duttile e interessante della lingua italiana, nella quale vi sono soltanto i tasti bianchi e mancano i semitoni e i cromatismi; l’italiano – conclude Scelsi, e il giudizio è impietoso – è una lingua buona per le epigrafi nel marmo dei monumenti (Il sogno 101, pp. 78-79). Resta il fatto che i versi scelsiani, nella loro precisione essenziale e incisiva, se non scarnificata, sembrano proprio scolpiti nella roccia. Solo, la parola poetica scelsiana è ancora viva e perfettamente ‘risonante’.

Ecco, come assaggio, le due strofe conclusive della poesia inedita A travers (dalla raccolta Sommet du feu, 1947; L’homme du son, p. 48), con “visioni” musicali che anticipano, fra l’altro, lo scenario del poemetto Il ritorno, 1980, testo che è un’apoteosi del suono sferico (il suono “che tutto avvolge”, a cui sono associabili le sphères de lumière).

Une suite des modulations
très haute
enchaîne les sphères
de lumière

Dans le plein azur
s’eternise inexprimable
la permanence du souffle
mystérieusement isolé.

[Una suite di modulazioni / altissime / allaccia le sfere / di luce // Nell’azzurro massimo / si perpetua inesprimibile / la permanenza del soffio / misteriosamente isolato]

La vitalità del francese ha dunque, in primis, una valenza sonora. La spiegazione fornita da Scelsi, certo, è quella di un compositore ­– un compositore, oltretutto, che ha elaborato un vero e proprio culto del Suono. Ma ogni poeta sa, o dovrebbe sapere, che la parola è un evento sonoro e che ogni singolo suono ha un’importanza strutturale.

Scelsi poeta dimostra di avere lo stesso passo di Scelsi compositore, per il quale il suono genera il ritmo, ovvero la “pulsazione vitale” che si alterna con il silenzio. Per Scelsi, senza ritmo non si hanno né vita né morte. Non si avrebbe neppure la musica (Sens de la Musique, 1944). Potremmo aggiungere: non si avrebbe neppure la poesia. Tradotte sul piano creativo, le convinzioni scelsiane significano: se il ritmo è un pessimo ritmo, l’impianto crolla.

 

Concisione e disposizione visiva

Nell’insieme le poesie delle raccolte ­scelsiane – poesie che a volte diventano simili a lapidari aforismi in versi, altre, a frammenti poetici in prosa – appaiono come delle epifanie. Scelsi, colto di sorpresa, le scriveva su qualunque foglio avesse sottomano. Tanto le poesie nascevano nel disordine, tanto era poi, invece, il rigore con cui venivano costruite.

Un aspetto evidente della poesia scelsiana è la concisione, sia ‘orizzontale’ (verso breve) sia, a partire dal secondo libro – L’archipel nocturne –, sempre più ‘verticale’ (numero ristretto dei versi fino ad abolire la suddivisione in strofe). Eppure nella scrittura poetica di Scelsi il ritmo sembra in espansione: la parola scolpita nella roccia è tutt’altro che in gabbia e bloccata. Scelsi tende al massimo della concentrazione fonico-espressiva, con un forte senso della disposizione visiva che va a toccare la collocazione della singola parola, fino a isolarla e, in definitiva, liberarla.


1. Brandelli di orizzonte detriti / di stelle il cielo lacerato / infine / al di là. (Ultima strofa della poesia Ainsi, da Le poids net; L’homme du son [HS], p. 80.)
2. Deserto / spiaggia delle origini / dove il cielo sprofonda / come una sfida. (Da L’archipel nocturne; HS, p. 136.
3. Andrò / dal fondo della terra / dove l’essere si risveglia / all’eterna battuta / per afferrare l’ombra millenaria / nel bagliore assoluto. (Da L’archipel nocturne; HS, p. 141.)
4. Il sonno / spiega / la non-realtà / del pensiero / schiavo della / pseudorealtà. (Da Poèmes incombustibles 1935-1985; HS, p. 281.)

Il ‘massimo’ ottenuto dal poeta in economia di mezzi (versi di una sola parola e parole che negli anni sembrano ‘restringersi’ sempre più: poche lettere bastano) trova uno sviluppo ulteriore nelle sperimentazioni sulla voce condotte dal compositore e nel suo lavoro di scandaglio dei fonemi. Insomma, Less is more. Assolutamente centrali, in questo senso, sono i Canti del Capricorno (1962-1972) opera-cardine non solo della ricerca vocale scelsiana, ma di tutta la vocalità del secondo Novecento.

 

Scrittura figurativa

Prove tipografiche per due poesie di La conscience aiguë, Parigi, 1962 (Fonte: L’homme du son, Actes Sud, Arles, 2006).

L’accurata disposizione delle parole nello ‘spazio’, con annessa focalizzazione sulla parola singola, ha una naturale evoluzione in forme di vera e propria poesia visiva (con esempi di calligrammi; La conscience aiguë) o di scrittura figurativa. In Cercles delle figure geometriche vengono disposte in successione e in trasformazione; HS, p. 232). Vale la pena notare che tra le figure geometriche vi sono l’ottagono (l’otto è il numero di Scelsi) e il cerchio (un cerchio che sormonta una linea retta costituisce il simbolo di Scelsi).

In Cercles (HS, p. 240) si ha anche l’esempio di una poesia ‘in migrazione’, i cui pochi pochi versi vengono distribuiti su più pagine, come a farli emergere dal silenzio e renderli protagonisti: Enchantements // l’Un // et le Multiple // parcours / de l’Espace // Conscience // Béatitude (“Incanti // l’Uno // e il Multiplo // percorso / dello Spazio // Coscienza // Beatitudine.”).

È facile supporre che questa attitudine al visivo derivi dalle sperimentazioni delle avanguardie storiche, dagli interessi artistici di Scelsi e, nel caso delle figure geometriche, dalla simbologia esoterica, ma come non pensare, ancora una volta, al compositore? La parola che si ‘muove’ nello spazio, oppure il lento e calcolato dinamismo della scrittura figurativa (con trasformazioni graduali dell’ottagono in decagono, in dodecagono e infine in cerchio), non sono forse una rappresentazione spaziale del suono? Nelle poesie visive di Scelsi oltre all’occhio entra sicuramente in gioco anche l’orecchio: il movimento della parola nello spazio è il movimento dei suoni che parola contiene.

1. Immensa / la triste opacità delle cose /strappa in noi lo spazio / bruscamente rivelato / mentre nasce / sul fondo del vuoto / e della notte / il pensiero / unico / senza / fine. (da La conscience aiguë; HS, p. 168)
2. Gli occhi / muovono / il sogno / verso la sua / caduta / futura / cenere / al vento / intorno / al filo / della / luce / cieca. (da La conscience aiguë; HS, p. 194)
3. Lo sguardo / al centro / di una / bianca / inazione // ricostruisce l’avvenire / inghiottito. (da La conscience aiguë; HS, p. 200)

 

Autobiografia nel futuro

Completa il corpus poetico scelsiano il poemetto Il ritorno, seconda parte dell’autobiografia Il sogno 101. La prima parte è un soliloquio-mémoire ad ampio spettro condotto con vena affabulatoria, ironia, sovvertimento della cronologia. A questa libertà associativa corrisponde verosimilmente la parola sogno del titolo, la quale, comunque, può anche alludere a un atteggiamento di Scelsi verso il proprio passato. Il numero 101 rimane invece un enigma che lo stesso Scelsi ha lasciato irrisolto. Qualcuno ha suggerito di leggere quel centouno come uno zero uno; l’ipotesi è verosimile: l’origine – l’andamento ciclico di tutto ciò che esiste (lo zero, fin dall’antica matematica indiana, ha come rappresentazione grafica il cerchio) – il ritorno all’origine.

Con il poemetto le scenario si amplia: l’autobiografia non è più reale ma ‘futura’. Il ritorno è un monologo spiccatamente immaginifico, un sogno in versi: anzi un “sogno da svegli”, il tipo di sogno che Scelsi preferiva. Il titolo allude a un duplice ritorno: il primo, alla casa-madre, costituita dal “grande-suono spazio-tempo”, il Suono-sfera tanto caro a Scelsi; il secondo, a una nuova nascita sulla Terra.

Rispetto alle raccolte poetiche si hanno differenze importanti. Anzitutto, qui, il poeta ricorre alla lingua italiana. Il verso rimane breve ma la parola si fa più densa e il ritmo più incalzante, con inflessioni del parlato che non nascondono la connotazione orale di partenza: “Ed ora il suono è nuovamente / gigante /cosmico / che tutto avvolge. / Ma anche con prospettive / se così posso dire per spiegare / una cosa inspiegabile /con parole / che mi fanno pensare. / Però io non posso pensare. / Sento tutto ciò / e ne sono avvolto / e vi sono immerso” (p. 459).

Come la prima parte dell’autobiografia, anche il poemetto è frutto di una registrazione realizzata dallo stesso Scelsi, poi trascritta da altri e infine revisionata dall’autore. Dato il materiale onirico e visionario, non è superfluo ricordare che la registrazione del poemetto è avvenuta “in notturna”. Abbiamo anche la data: la notte fra il 27/28 dicembre 1980. La data contiene contiene due numeri 8 e il numero 0: forse in quel momento a Scelsi tanto è bastato per ritenersi soddisfatto.

[Tutte le traduzioni dal francese sono a cura dell’autore]

marzo 2018 © altremusiche.it

SECONDA PARTE: Scelsi poeta (pt. 2) – Dalla scrittura alla voce [MusicaPoesia / PoesiaMusica]

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