Elton Dean / Mark Hewins: “Bar Torque”

Michele Coralli
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Elton Dean / Mark Hewins: “Bar Torque” (MoonJune Records, MJR 0001, 2001)

Di Elton Dean è certamente più noto il passato rispetto al presente: tanto per rinfrescare la memoria a qualcuno, egli ha fatto parte dei Soft Machine dell’epoca di mezzo, dei gruppi di Keith Tippett, nonché dei Brotherhood of Breath e Ninesense; ha avuto contatti con gran parte della scena radicale jazz inglese, pur non abbracciandone completamente le direttive stilistiche. In tempi più recenti ha preso parte ai progetti di area post-canterburiana come Soft Heap (compagno di Hewins), In Cahoots, Newsense (la fantasia nella scelta dei nomi non è mai stata la qualità migliore di molti musicisti di quella scena) e Freebeat. Anche il chitarrista Mark Hewins, sebbene di qualche anno più giovane, ha legato la propria attività al London Musicians’ Collective (organizzazione che eredita lo spirito cooperativistico delle associazioni come Musician’s Coop, FMP, ICP, ecc.), e, conseguentemente, al mondo dell’improvvisazione inglese (Trevor Watts, John Stevens). Ma c’è anche Canterbury sulla strada di Hewins, rappresentato dagli epigoni come Soft Heap, i Caravans of Dreams di Richard Sinclair e ultimi Gong.

Fatte le dovute presentazioni, è tempo di dire qualcosa su questo “Bar Torque”, disco che raccoglie un triplo set di improvvisazioni dei due: il primo al saxello e alto, il secondo ai sampler, chitarra acustica e midi. Tre composizioni strutturate, dal carattere improvvisativo, ma ben salde sul paracadute determinato dai pattern armonici, creati dai suoni sintetizzati della chitarra di Hewins, che costruisce tappeti armonici su tappeti armonici. Dean, dal canto suo, rimane fedele al suo compassato modo di usare il sax, scevro da sbandamenti e da colpi di testa, ma sempre preciso e pulito nella ricerca dei suoni. Fra i tre brani scegliamo certamente l’ultimo, Merilyn’s Cave, dove una certa immobilità sembra svanire per lasciare il passo alla creazione, più spontanea e meno incatramata sui lunghi pedali di sostegno. L’effetto finale sa un po’ troppo di musica ambient, concetto che stona leggermente con ciò che ci si potrebbe aspettare da uno come Elton Dean. Ma anche questo fa parte della ricerca di un percorso di chi non vuole continuare ad essere ricordato per merito dei fasti di un nobile passato.

2002 © altremusiche.it

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