Digital media: un futuro di demenza secondo Manfred Spitzer [intervista]

Michele Coralli
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Non solamente violazioni della privacy, ma anche danni alla salute. Mai come in questo momento il mondo digitale sembra essere messo sotto accusa. E si tratta di accuse pesanti, soprattutto per quanto riguarda le conseguenze sulle future generazioni. A dirlo è Manfred Spitzer, direttore della Clinica psichiatrica e del Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm, già professore ad Harvard e autore di numerosi saggi che focalizzano diversi problemi legati all’utilizzo massiccio di digital media (“Demenza digitale” e “Solitudine digitale”, 2013 e 2016, Corbaccio). La tesi è lapidaria: l’abuso dei nuovi strumenti rende malati e gli effetti creano conseguenze drammatiche, sia sulle capacità cognitive, che sull’empatia necessaria per avere rapporti sociali fisiologici. Il pericolo è quello di avere presto un’umanità affetta da demenza precoce, solitudine e depressione.

Professor Spitzer, quali sono dispositivi che creano demenza e solitudine?

Attualmente il più tossico è lo smartphone perché è usato per la maggior parte del tempo, perché è diffuso in maniera più capillare nel mondo, dato che ci sono attualmente più di 4 miliardi di persone che lo usano e poi perché lo sempre porti con te. Lo smartphone è la tua connessione permanente con Internet, è la tua fruizione informatica permanente. È tutto. Puoi giocare, guardare dei video o la televisione. La questione più critica quindi è quella di non dare ai bambini questi apparecchi senza supervisione prima che loro siano maggiorenni.

Prima degli smartphone esistevano i videogiochi e i computer…

Sono tutte cose negative, come lo è stata la televisione che rende ottusi, aggressivi e malati. Si muore prima perché si diventa grassi. Lo abbiamo già visto con la televisione: siamo passati dalle 3 ore alle 9 ore. Ora ancora più della TV abbiamo queste altre cose. Mettere a disposizione gli smartphone significa dare un accesso permanente a tutto questo. Per questo motivo lo smartphone è l’apparecchio digitale più tossico.

Sembra che lei stia parlando di qualcosa di molto di molto simile a una droga pesante…

Di fatto lo è. Ci sono studi che dimostrano che se somministri cocaina a un tossicodipendente questa attiva certe aree del suo cervello creando un’assuefazione. Se guardiamo a coloro che hanno una dipendenza da Facebook vediamo che vengono attivati i medesimi centri cerebrali sollecitati dalla dipendenza da cocaina. Sappiamo con certezza che non è un problema di come rappresentare questa dipendenza. Per noi si tratta di dipendenza da Facebook a tutti gli effetti ed è la stessa identica cosa dispetto a ogni altra dipendenza. E questo deve essere raccontato. La scienza è molto chiara. La professione medica è d’accordo con questo: abbiamo le diagnosi. Molti media ed intellettuali dicono che se ne deve ancora parlare e che la dipendenza ha a che fare solamente con le sostanze. No. La scienza è ben oltre queste considerazioni.

Lei è molto critico anche rispetto all’uso del computer nelle scuole.

Sì, i ragazzi non imparano di più attraverso i computer. Questo è stato più volte dimostrato da oltre due decadi. C’è un numero enorme di ricerche che comprovano che lo studio diventa peggiore quanto più viene usato il computer. E se i ragazzi vengono avvicinati al computer, lo usano anche per altre cose entrando in multitasking: cioè ascoltano l’insegnante facendo anche altro. Si distraggono, non seguono in modo corretto e finiscono per fare altro. Il computer così non velocizza l’apprendimento, né lo incrementa. Al contrario lo fa calare. E ci sono un’enorme quantità di studi che lo dimostrano. Me ne faccia citare uno molto recente, fatto molto bene, uscito nel novembre scorso e prodotto dall’Accademia Militare di West Port, un luogo frequentato da allievi che non sono lì a passare il tempo, ma al contrario sono massimamente motivati a fare carriera e voglio imparare le cose in modo assolutamente efficace. Ciò che hanno fatto è questo. Hanno randomizzato 50 classi: ogni classe di 15 allievi ha un computer o un tablet, o solamente un tablet o addirittura nulla. Hanno insegnato per un intero semestre in questo modo. All’esame di fine anno è stata fatta una comparazione tra i 3 gruppi ed è stato notato che non c’è stata alcuna digital divide tra loro, ma che il gruppo, che non aveva alcuno strumento digitale, aveva imparato il 20% in più degli altri.

Quindi perché gli insegnanti sono così positivi rispetto all’uso dei computer nella scuola?

Gli insegnanti non sono così positivi. Ho parlato anche con un insegnante italiano e mi ha detto che ogni giorno insegna in due classi: una con tutti gli apparati digitali e l’altra con libri e carta. Si è accorto anche lui che ha ottenuto risultati migliori dalla classe non-digitale. Però mi ha anche confessato che viene pagata meglio quando insegna in maniera digitale, perché ci sono leggi che finanziano la formazione extra-scolastica per gli insegnanti. Questi corsi riguardano la digitalizzazione delle scuole e l’unica maniera per guadagnare di più è di usare il computer nelle classi anche se lei si è accorta che i ragazzi imparano meno. Gli ho detto che questo mi sembrava corruzione. Mi ha risposto che questa è l’Italia.

Forse in Italia abbiamo un sistema educativo molto antiquato e forse il computer appare per molti come la modernità.

Non è così. E non c’è niente di male rispetto ai sistemi educativi antiquati. Lo ripeto ancora una volta: il computer non va bene per imparare. Quando tu hai un’attività mentale esterna (Outsearched Mental Activity) questa non prende posto all’interno del tuo cervello. Invece l’attività all’interno del cervello coincide con l’apprendimento. Ogni cosa che non fai all’interno del tuo cervello, non lo impari. Se fai un esercizio aritmetico nella tua testa, lo impari. Se usi una calcolatrice non impari a fare i calcoli. La stessa cosa vale per l’ortografia. Se il computer la fa per te, tu non impari. E così via: ogni cosa che il computer fa per te, tu non la impari.

Dovrebbe andare nelle scuole a parlare di questo problema…

Ogni insegnante che fa il proprio lavoro seriamente si può rendere conto da solo di quello che sto dicendo. Sono sempre in cerca di studi che dicano il contrario. Anzi, all’interno delle discussioni che mi capita di fare in giro, mi sento dire che esistono montagne di ricerche in favore del computer nelle scuole. Io dico semplicemente: mandatemeli. Non ne ho mai ricevuto uno.

Da padre mi ha colpito molto accorgermi che le ricerche scolastiche dei ragazzi si basano spesso sul cut and paste.

Esattamente. Quando copi e incolla da Wikipedia sul tuo PowerPoint, nessun apprendimento ha luogo all’interno del cervello, mentre quando leggi dei libri, riassumi il loro contenuto attraverso la scrittura manuale e pensi a come organizzare il tuo testo. Questo fa entrare nelle tua testa molto di più.

Nel suo libro “Demenza digitale” c’è un interessante capitolo in cui si parla della capacità di orientamento dei tassisti londinesi rispetto chi invece si affida all’uso dei navigatori.

È lo stesso concetto che esprimevo precedentemente rispetto all’outsearching. Se non ti eserciti nella navigazione, allora perdi la capacità di navigare. E questo avviene in una specifica area del cervello chiamata ippocampo, che è molto importante per la memoria e l’apprendimento. Se non la alleni spesso, sarà molto meno in grado di imparare ogni cosa. Quindi: dovremmo forse usare la navigazione per i ragazzi o per le lezioni? La risposta è no. Negli adulti con un cervello sviluppato dovrebbe essere uno strumento che può essere utilizzato oppure non essere utilizzato. Ognuno sa che se non allena i propri muscoli questi diventeranno deboli. Quindi ogni persona adulta dovrebbe anche sapere che se non allena il proprio cervello, questo può diventare sempre più debole.

Qual’è il funzionamento del cervello di fronte a questi apparati elettronici?

Spesso il nostro cervello viene paragonato a un computer. Secondo alcuni processiamo informazioni, teniamo un archivio e così via. Così quando i nativi digitali esternalizzano le informazioni, hanno nella loro memoria molto più spazio libero. Non saranno consapevoli di cosa hanno esternalizzato, ma possono imparare qualcosa d’altro, visto che hanno spazio a disposizione. Questo è quello che mi sento spesso dire, ma è completamente sbagliato e spiego il perché. Il cervello non ha una CPU e nemmeno un disco fisso. Ha invece cento miliardi di neuroni che si parlano, cambiando le loro interconnessioni e questo cambiamento consiste nella memoria. Il parlarsi tra loro è l’elaborazione. Quindi più cose vengono processate da più parti del mio cervello, più queste vengono aggiunte alla mia memoria, a differenza invece del mio computer. Nel cervello non c’è differenza tra elaborazione (processing) e stoccaggio (storage) ed è per questo, per esempio, che più lingue uno conosce, più connessioni ha nel centro linguistico del suo cervello e più queste sono allenate. Quindi se qui abbiamo una persona che parla solo italiano e un’altra che parla italiano e altre cinque lingue, chi sarà quello che impara un nuovo linguaggio in modo più veloce? La conseguenza di questo – ed è una cosa molto interessante – è che il cervello, a differenza di un hard-disk, è che, se quest’ultimo è pieno, ha poche capacità residue. Per esempio se è pieno al 90% ha solamente il 10% di capacità. Il cervello invece è diverso. Più informazioni vengono stoccate al suo interno, più ne riescono a entrare. Il problema è che se tu non hai dentro niente quando hai 25 anni, poi riuscirà ad entrarci dentro davvero poco. Se tu esternalizzi le tue conoscenze di inglese, non migliorerai certamente nell’imparare il cinese successivamente. Al contrario invece è quello che si crede a proposito dei nativi digitali, ovvero che quanto meno imparano, quanto più spazio residuo hanno. È una totale assurdità! Questa idea comprometterà ogni apprendimento futuro, perché, lo ripeto, più si impara, più si può imparare e, al contrario, meno si impara e meno si può imparare. Altrimenti si fa solo cattiva informazione.

Il cervello rischia di diventare una semplice RAM di altri apparati?

Il cervello è la CPU e la memoria messi assieme. E la nostra memoria ha una grandezza illimitata. O almeno è limitata dalla nostra morte. Quindi quanto più veniamo istruiti nel corso della nostra esistenza, quanto può il nostro cervello può fare. La demenza mette a terra la mente, ma come ogni discesa dipende da quale altezza si parte. Se si parte dall’alto, ci vorrà più tempo per arrivare al fondo. Quando tu parti da una mente istruita lo stato di demenza può arrivare anche 200 anni dopo e non ci arrivi perché muori prima. Arriva invece durante l’esistenza quando non impari nulla nei primi vent’anni di vita, ovvero quando fai la migliore prevenzione dalla demenza ovvero educhi te stesso e il tuo cervello diventa più funzionale. E se non lo fai, avrai un più alto rischio di demenza nel corso della tua esistenza.

Cosa possiamo fare quindi?

Dobbiamo stare molto attenti nell’uso di tutti questi nuovi strumenti digitali, come, di norma, di tutti i nuovi strumenti in genere. Se guidiamo una macchina ci accorgiamo che non è benefica per il nostro corpo, quindi andiamo in palestra. Potremmo usare una bicicletta risparmiando così il tempo che impieghiamo in palestra. Ma facciamo entrambe le cose: usiamo la macchina e andiamo in palestra. La stessa cosa riguarda il nostra cervello. Per tutto quello che non facciamo all’interno di esso, abbiamo bisogno di un allenamento extra per tenerlo in forma. E se non lo facciamo avremo presto quella che ho chiamato demenza digitale.

La politica può muoversi in tal senso? Lei cita spesso l’esempio della Corea del Sud che ha mosso i primi passi nel porre dei limiti all’abuso dei media digitali.

I politici sono gli ultimi a rendersi contro di questa problematica. Molti giovani stanno prendendo coscienza, così come diverse persone che lavorano nell’economia si accorgono che molti giovani che arrivano da loro non sono più in grado di calcolare percentuali o frazioni anche se hanno la maturità. Dovrebbero essere in grado di fare calcoli integrali e differenziali, ma non sono in grado di farlo. E questi vengono dall’abitur ovvero la maturità del ginnasio tedesco. Quindi impariamo molto meno. E la Germania è destinata a non essere più un leader nelle esportazioni nei prossimi vent’anni se non cambiamo la nostra educazione per farla diventare meno digitale. Perché è già abbastanza decaduta ora, da non poter andare ulteriormente giù. Deve risorgere nuovamente.

Pensa che le limitazioni nell’uso siano sufficienti o si dovrebbe trattare i digital media alla stessa stregua del fumo?

Penso che la Corea abbia fatto un primo passo. Hanno finalmente realizzato che i media digitali non sono adatti per i giovani studenti e che devono essere regolati. Penso che dovremmo approcciarci agli smartphone come lo facciamo con il fumo e l’alcool. L’alcool non va bene per la lo sviluppo mentale e causa dipendenza. Siccome non facciamo una formazione mirata a creare delle competenze sull’alcool negli asili di infanzia o nelle scuole primarie, ma la facciamo per creare delle competenze digitali, nonostante i media digitali creino ugualmente dipendenza e intralcino lo sviluppo del cervello. Quindi certamente dovremmo trattarli come l’alcool e il tabacco. Dobbiamo proteggere i nostri bambini da questo, mentre gli adulti possono decidere da soli cosa fare.

Quindi non siamo tutti destinati alla demenza.

Il fattore di rischio preminente nello sviluppo della demenza è l’educazione. Più sei istruito, più sei protetto. Quindi se l’educazione cala, ed è quello che sta succedendo, avremo più casi di demenza in futuro. Abbiamo bisogno di riavviare l’educazione senza i computer, ma semplicemente migliorandola attraverso l’insegnamento e la conoscenza tradizionali. Non “googleando” ogni cosa, perché non puoi usare Google, se non sai nulla. Devi sapere le cose prima di accedervi.

Quindi rimangono i libri?

Certamente e si impara più dai libri che da Google. Ci sono saggi scientifici – non una mia opinione – che dicono che dobbiamo proteggere i nostri figli. I computer non devono essere usati nelle scuole perché creano meno apprendimento e quando uno è adulto può scegliere se usare o meno i nuovi tool per essere o meno un uomo o una donna migliore. Dobbiamo però proteggere i bambini perché gli smartphone sono come la cocaina, il fumo o l’alcool.

2018 © altremusiche.it / Michele Coralli
[Intervista in parte pubblicata su «il manifesto», Culture: Alfred Spitzer: «il rischio è la demenza digitale», 14/04/2018]

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