John Surman: “Saltash Bells”

Foto: Claire Stefani
Michele Coralli
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John Surman: “Saltash Bells” (ECM, 2266 2798108, 2012)

Con l’aiuto prezioso del figlio Pablo Benjamin, i sintetizzatori digitali che John Surman richiama in forze per dare struttura ritmico-armonica alle sue composizioni in “solo” diventano quasi l’elemento centrale di questa raccolta di brani costruiti attorno a un certosino lavoro di overdubbing. Sul pavimento un tappeto che intreccia segmenti di loop e delinea trame che, a loro volta, circoscrivono l’orizzonte improvvisativo del sassofonista britannico immergendo il cocktail sonoro in atmosfere liquide e consonanti. Nella sedimentazione che ne segue tre famiglie di sax (soprano, tenore e baritono), tre di clarinetto (alto, basso e contrabbasso), più un’armonica, si condividono le glorie della migliore articolazione di pensiero surmaniano. Su tutto la grande capacità di invenzione melodica che struttura in modo coerente brani progettati nei minimi dettagli. Il limite è tutto interno all’orbita esatta che colloca il suono interno a un’intonazione sempre perfetta, dalla quale non si sgarra nemmeno negli attesi momenti di rigurgito free, qui del tutto assente. Le asprezze si concentrano in qualche brano cameristico come Dark Reflections, nel quale al di là del riverbero d’ufficio, il lavoro sull’eco tra le parti mette in evidenza tutte le doti di controllo strumentale del Nostro. Complessivamente da “Upon Reflection” non sembra essere passato molto tempo. Anzi, quel suono di sintetizzatore che guarda con avidità alle rotondità analogiche dei vari ARP o Moog, potrebbe essere tranquillamente storicizzato in un periodo a cavallo tra la fine degli anni ’70 e inizi anni ’80. Invece siamo qui, attorno ad anni che continuano a guardare indietro con malinconia o con discorsi vagamente sclerotici, seppur velati di ricordi fantastici.

2012 © altremusiche.it

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