Alter Ego: musiche in forma di quadro [intervista]

Michele Coralli
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Un curriculum tradizionale e una carriera improntata alla interdisciplinarietà e alla contaminazione, l’ensemble contemporaneo romano Alter Ego sembra avere un passo più ampio di molti altri gruppi analoghi, riuscendo a muoversi in terreni che in Italia sembrano, se non vergini, ancora poco frequentati. Ne parliamo con Oscar Pizzo e Manuel Zurria, rispettivamente pianista/tastierista e flautista del gruppo, di cui fanno parte anche il clarinettista Paolo Ravaglia, il violinista Francesco Peverini, il violoncellista Francesco Dillon.

Oltre dieci anni di attività come ensemble dedito all’interpretazione di repertori contemporanei (da Glass a Lang, da Rzewski a Sciarrino). Come spiegate l’impulso che gruppi cameristici come il vostro hanno ricevuto a partire da qualche anno a questa parte?

«Crediamo che la nostra generazione abbia avuto il tempo e la fortuna di nutrirsi e “digerire” tutto quello che di buono c’è stato nel mondo della musica contemporanea, da Darmstadt in poi. Abbiamo vissuto con disincanto questa piccola rivoluzione, senza gli idealismi dei suoi protagonisti, e questo ci ha permesso di essere sicuramente più obiettivi nei giudizi e nelle scelte. Non è una dichiarazione di qualunquismo, anzi intende essere una scelta di libertà che ha permesso a tanti gruppi come il nostro di rivitalizzarsi nel repertorio, rendendolo per quanto possibile innovativo nel panorama artistico odierno. Rimanere confinati solo nella tradizione dell’avanguardia accademica significa non permettere un cambiamento alle infinite metamorfosi che la nostra cultura ci impone».

«Come si possono ignorare infatti i contributi che la tecnologia ha pesantemente riversato sulla nostra quotidianità, il cambiamento di velocità che è stato imposto alla vita di tutti i giorni, le migrazioni che hanno permesso una vera civiltà multietnica? Tutto questo si trasferisce sugli artisti che operano sul contemporaneo che ne riflettono ansie e contraddizioni. Non siamo contrari a suonare musiche degli anni ’50 o ’60, benché molte di queste ci sembrano oggi come “fuori luogo”, semplicemente perché dopo tanti anni possiamo finalmente selezionare con un criterio artistico e non di ideologia».

Sono d’accordo sul fatto che molti delle giovani generazioni si avvicinano alla musica contemporanea con meno intellettualismi di quanto potevano fare venti o trenta anni fa. Vi faccio allora una domanda a doppio taglio: credete forse che avvicinarsi a gente come Steve Reich, by-passando autori come Nono e Maderna, può considerarsi un modo per non spaventarsi di fronte a qualcosa di ostico e più difficilmente comprensibile?

«Non crediamo sinceramente che la musica di Reich si possa considerare più “facile” di quella di Nono. I due operano su territori estremamente complessi che riguardano, uno il ritmo, l’altro il suono nelle sue infinite sottigliezze. Quello che rende più fruibile la musica di Reich è sicuramente il controllo sul ritmo, che è uno dei fattori naturali di comunicazione e di linguaggio degli esseri umani. Gli autori che hai citato, (Nono e Maderna), tra i più importanti della loro generazione, hanno costruito la loro rivoluzione sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale. C’era al momento un azzeramento sociale e culturale che, se da un certo punto di vista poteva essere considerato una immane tragedia, dall’altro ha senza dubbio favorito la ri-nascita di una nuova musica. Questo ha imposto una scelta drastica, idealistica e fortemente autarchica che ha condizionato la vita musicale fino agli anni ’80, provocando un totale scollamento tra avanguardia e pubblico, creando un circolo super-elitario e ristrettissimo di addetti ai lavori».

«Per rispondere alla tua domanda, diciamo che, se una persona ha una sincera curiosità intellettuale verso l’esterno, non si spaventa certo davanti a difficoltà di questo tipo. Essere intellettuali in questo senso non costituisce uno status symbol, ma una forma di sana elaborazione cerebrale in un contesto che tende invece ad un appiattimento culturale e ad una sorta di regime di deficienza».

Semplificando, è possibile allora che certa musica contemporanea possa essere fruita senza alcuna mediazione, come si sarebbe potuto fruire una toccata di Scarlatti o una sinfonia di Grieg?

«La musica vive di una comunicazione complessa. Non avendo referenti visivi o tattili, vive di emozioni nel ricordo dell’ascolto momentaneo. In questo senso pensiamo che un concerto renda giustizia alla musica più dell’ascolto di un disco, perché l’emozione fisica di un interprete che suona risulta molto più stimolante di una cuffia e di uno stereo. Noi cerchiamo di porci il problema dell’utilizzo di quei supporti (come luci, video, etc.) che, sebbene ampiamente utilizzati nella musica commerciale, ancora faticano a trovare un loro contesto anche nell’ambito della nostra musica. Non crediamo sia poi così assurdo utilizzare questi mezzi per uno spettacolo il cui scopo unico è quello di aiutare l’ascoltatore a rendere viva la sua attenzione per comunicargli delle emozioni».

«Comunicazione: ecco, questa è una parola ricorrente nella nostra intervista che credo sia il punto fondamentale della nostra ricerca attuale. Anche la musica più complessa, se posta nei giusti termini, può garantire delle emozioni a un pubblico di non specialisti. Crediamo molto nell’intelligenza del pubblico: quasi sempre coglie la validità del prodotto musicale decretandone il successo o la sconfitta, a prescindere dal livello culturale o dall’abitudine. Ascoltare Scarlatti pone altri problemi: se da un lato c’è l’agevolezza di una musica che appartiene alle nostre radici, di cui conosciamo tutte le possibilità e che ci emoziona più per conferme che per sorprese, dall’altro c’è la difficoltà di sentire nostra una musica che apparteneva ai nostri antenati, che sembra racchiusa in un’icona sacra ma che vibra poco di umanità».

Vi siete misurati con diversi autori ma Glass, Rzewski e Sciarrino hanno avuto una particolare attenzione da parte vostra. Quali sono le affinità elettive che avete sviluppato con questi compositori.

«Alter Ego ha cominciato la sua storia sotto il segno di Sciarrino, che reputiamo uno dei compositori più geniali ed originali di questi anni. La sua musica, ad esempio, ha sempre avuto un enorme impatto sul pubblico, perché mette a nudo in maniera inquietante il problema dell’ascolto, del silenzio e della nostra fisicità. Negli ultimi anni abbiamo approfondito il repertorio minimalista degli anni ’70, che ci sembrava non sufficientemente documentato su disco. Abbiamo ripreso i lavori di Frederic Rzewski come Coming Together e Attica e li abbiamo attualizzati affidandone l’interpretazione ad artisti come Frankie HI NRG e John De Leo dei Quintorigo».

«Anche con Sciarrino abbiamo tentato un esperimento dal risultato molto soddisfacente insieme a Robin Rimbaud alias Scanner , che ne rimanipolava i materiali sonori in un contesto molto personale. Il lavoro su Glass si è concentrato invece principalmente sulle opere minimaliste degli anni tra il 1965 e il 1972 che ci hanno imposto un grande rigore e un lavoro molto interessante sul suono e sull’articolazione. Per dovere di cronaca vorremmo ricordare altri compositori con cui abbiamo stabilito dei rapporti di affinità: Toshio Hosokawa, Kajia Saariaho, Louis Andriessen, David Lang, Alvin Curran, Giya Kancheli. Tra i giovani italiani ricorderei Fausto Romitelli, Luca Francesconi, Maurizio Pisati, Gabriele Manca, Nicola Sani, Stefano Gervasoni, Mario Garuti, Luigi Ceccarelli e molti altri che sono sempre stati al centro delle nostre attenzioni».

Dal punto di vista discografico avete trovato un accordo con Stradivarius, che recentemente ha puntato molto sulla musica contemporanea. Dal vostro punto di vista pensate che un CD di musica contemporanea abbia oggi più possibilità commerciali di qualche anno fa?

«Il mercato discografico nella musica contemporanea rappresenta ovviamente un mercato di “nicchia” rispetto a quello che potrebbe rappresentare il grande mercato discografico del rock o della musica leggera. Per nostra fortuna esiste ancora della gente sensibile ed avventurosa come gli amici della Stradivarius che ci hanno permesso di realizzare una serie discografica ancora in corso che ha già dato le sue piccole soddisfazioni. Il nostro CD Music in the Shape of a Square di Philip Glass è stato segnalato come Editor’s Choice della nota rivista “Gramophone”, un traguardo che raramente è destinato alle produzioni italiane».

E quali caratteristiche deve avere un CD di musica contemporanea per avere un mercato. Quali modelli deve seguire, secondo voi?

«Il CD di musica contemporanea non è destinato ad un mercato di tipo “quantitativo” ma “qualitativo” nel senso che l’operazione che si fa con un CD di musica contemporanea è di tipo esclusivamente culturale. Oggi il CD è anche un sistema promozionale ed un veicolo per la diffusione della musica senza pari. Tutti hanno la possibilità di accedere a questo vettore, anche se i costi permangono eccessivamente proibitivi».

Mentre invece sul versante concertistico quali sono state le strade percorse?

«Alter Ego sta cercando da qualche anno di scardinare le ipocrisie e i confini tra i generi. Stiamo cercando di interagire con artisti diversi, non in onore della solita “contaminazione” che va tanto di moda, ma per un rinnovamento profondo del concetto di contemporaneità in musica. In questo senso ci pare estremamente importante ogni possibile stimolo e proposta che possa metterci in difficoltà e stimolare nuove risposte e problematiche».

«Siamo in contatto con artisti importanti del calibro di David Moss, di Otomo Yoshihide e dei Pan Sonic per assemblare progetti nuovi che possano sensibilizzare anche un pubblico che ha il timore di farsi vedere in una sala da concerto che non sia un Palazzetto dello Sport. Per loro, soprattutto, stiamo cercando di spingere la curiosità, per verificare se è ancora possibile divertirsi con delle cose intelligenti…».

In Italia ci sono vari orticelli e ognuno coltiva il proprio. Anche in ambito contemporaneo alcune realtà, più o meno in conflitto, si spartiscono una fetta di torta all’interno dei circuiti culturali delle varie città. Come vive un gruppo che propone progetti trasversali che coinvolgono rappers come Frankie Hi NRG o improvvisatori come Giuseppe Ielasi?

«Viviamo ancora la diffidenza dei puristi, in entrambi i settori. Essere trasversali può secondo noi essere una forza di coesione, per riconquistare curiosità e interesse nella cultura di oggi che è estremamente trasversale. Tutto oggi nella cultura di Internet è riferito attraverso links piuttosto che pagine fisse. Gran parte di questo processo è partito solo qualche anno fa. Mi ricordo che durante un viaggio di spostamento da una città svedese a un’altra, Francesco, il nostro violoncellista, che, vuoi perché più giovane anagraficamente di noi, vuoi perché da sempre attratto da altre musiche, ci fece sentire dei dischi. Uno di questi esercitò una impressione profondissima sul gruppo: era A dei Pan Sonic. Non avevamo mai sentito niente di così “contemporaneo”. Da quel giorno ci siamo aggiornati moltissimo e abbiamo colmato ogni lacuna. Oggi girano tra gli adepti di Alter Ego numerosi CD, articoli, ritagli, giornali… Insomma una rete informativa degna della CIA».

Alter Ego performs music By Philip Glass ‎– Music In The Shape Of A Square (STR 33602, Stradivarius 2001)

Beh quelli ultimamente non hanno brillato… Ma concludiamo con i vostri prossimi progetti.

«Beh, il primo, appena terminato, è il nuovo CD con musiche di Frederic Rzewski. Si tratta della prima monografia italiana dedicata a un protagonista della musica degli ultimi quaranta anni, realizzata con l’aiuto di numerosi ospiti: in primis lo stesso Rzewski, poi Frankie HI NRG, Giuseppe Ielasi, Scanner e Marco Passarani. In aprile uscirà il nuovo CD sempre con Stradivarius con due opere di Philip Glass mai incise su CD: How Now del 1968 e 600 Lines, un lungo lavoro del 1968 che Glass ci ha concesso in esclusiva. Ha visto rarissime esecuzioni durante gli anni della sua nascita, per poi finire in un cassetto per troppo tempo. E’ un importante brano del periodo minimalista, a mio avviso uno dei più belli di Glass: nulla è concesso alle ripetizioni e la musica procede scritta per 600 pentagrammi (circa 45 minuti di durata). Sul versante concertistico stiamo mettendo a punto un vero e proprio Festival Alter Ego che con un po’ di fortuna vedrà la luce nel 2004. Si chiamerà “COMETODADDY” in onore al famoso CD di Aphex Twin ma che in un certo senso rispecchia l’invito all’ascolto rivolto soprattutto ai più giovani».

febbraio 2003 © altremusiche.it / Michele Coralli

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