Incontro con Richard Stallman: tra filosofia e free software

Il seminario Free software e libertà nella ricerca scientifica, tenutosi il 20 aprile 2004, nell’ambito del Lab_ET – Laboratorio Elettronico e Telematico per la Cultura Umanistica – promosso dalla Facoltà di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, ha costituito un’occasione importante per una riflessione sulla portata e sull’utilizzo del software Open Source o meglio, del Free Software, sia in termini filosofici (il concetto di libertà nella cultura occidentale), sia in termini applicativi e tecnologici (sempre più spesso realtà istituzionali, a partire da interi apparati governativi, preferiscono adottare software Open Source al posto di software proprietario).

L’abbinamento Software Libero e filosofia non deve apparire una forzatura. Parliamo abitualmente di “filosofia Open Source” per indicare un modo di pensare, uno stile di lavoro, se non di vita, che va ben oltre il lato strettamente tecnico per essere affrontato secondo i canoni dell’etica, della politica e della dimensione sociale.

Sono le 14.45, l’Aula Magna si è riempita notevolmente rispetto alla mattinata. Richard Stallman è l’ultimo a prendere posto al tavolo dei relatori. Fa il suo ingresso dal retropalco e già dalla figura e dalle movenze ispira una simpatia che non ti aspetteresti da un burbero programmatore (“l’ultimo vero hacker” è stato definito). Gli aneddoti sul personaggio sono molti (si legga la biografia ufficiosa di Sam Williams “Codice Libero”), come molti sono gli incontri richiesti a Stallman dalle più alte istituzioni governative, a testimoniare quanto il progetto sia uscito dalla nicchia dell’hacking per entrare prepotentemente nei nodi strategici dei prossimo futuro. Il Software Libero è una delle più importanti rivoluzioni nel campo del software, destinata a influenzare un mercato di migliaia di miliardi di dollari/euro. E l’artefice di questa rivoluzione è qui a pochi metri, col suo sorrisetto ineffabile, col suo idealismo radicale, con la sua voce leggermente stridula, i capelli lunghi, la barba lunga, l’aspetto trasandato, un Don Chisciotte contemporaneo che negli ultimi anni ha incominciato a sferrare qualche colpo decisivo ai mulini a vento delle multinazionali del software.

L’intervento di Stallman dura circa un’ora. Segue un copione collaudato, di una chiarezza disarmante.
Free Software: il primo punto che è necessario chiarire deriva dall’ambiguità del termine “free” nella lingua inglese, che ha il duplice significato di libero, come in “free speach”, e di gratuito come in “free beer”. Intendere il Free Software come “software gratuito” è del tutto fuorviante e sbagliato. La traduzione in italiano, Software Libero, funziona meglio e sgombra il campo da questa ambiguità.
La libertà sta nel fatto che quando si distribuisce del software libero, attraverso una licenza studiata appositamente e inattaccabile dal punto di vista legale – la GPL (General Public License, di fatto la licenza di riferimento per il software libero), si è tenuti a distribuirne anche i sorgenti (il codice di programmazione) e non solo il formato binario, come avviene normalmente per il software proprietario.

La libertà per l’utente, è articolata in questo modo:

1. l’utente ha la libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo;

2. l’utente ha la libertà di modificare il programma secondo i propri bisogni (perché questa libertà abbia qualche effetto in pratica, è necessario avere accesso al codice sorgente del programma, poiché apportare modifiche ad un programma senza disporre del codice sorgente è estremamente difficile);

3. l’utente ha la libertà di distribuire copie del programma, gratuitamente o dietro compenso;

4. l’utente ha la libertà di distribuire versioni modificate del programma, così che la comunità possa fruire dei miglioramenti apportati.

Poiché il termine free non è riferito al prezzo del software, vendere il software libero non è una contraddizione, anzi è una condizione necessaria alla sostenibilità del progetto.

Il progetto GNU (“GNU is Not Unix” – acronimo ricorsivo, uno schema molto utilizzato negli ambienti dell’hacking), muove i primi passi nel 1984 con l’obiettivo di sviluppare un sistema operativo alternativo a Unix, ma basato sul modello Unix, e una gamma di applicazioni, delle quali verranno distribuiti i sorgenti, in modo che la comunità di sviluppatori possa apportarvi modifiche e miglioramenti. In quell’anno Stallman lascia il MIT, che di fatto avrebbe potuto rivendicare la paternità del suo lavoro, ostacolandone la libera distribuzione. Le prime applicazioni sono strumenti essenziali come GNU Emacs, un editor di testi estremamente più potente e versatile di ciò che era disponibile a quel tempo (vi e ed).

Le tematiche esposte da Stallman riguardano poi i presupposti tecnici del progetto GNU, l’apporto fondamentale della licenza GPL, il concetto di copyleft (il “permesso d’autore”, che si contrappone alla privatizzazione imposta dal copyright), la nascita della Free Software Foundation (1985), la svolta con GNU/Linux, che poterà a compimento l’opera iniziata da Stallman, la sottile ma significativa differenza tra il movimento del Free Software e quello dell’Open Source, differenza riscontrabile almeno negli obiettivi: l’Open Source si configura come una metodologia operativa, in termini essenzialmente pratici, mentre il movimento del Free Software fa leva su motivazioni etiche. In effetti, discorsi che richiamano alla cooperazione, alla condivisione della conoscenza, al dovere morale di favorire il prossimo, sembrano provenire da contesti e da tempi remoti, che nulla hanno a che fare con i meccanismi di produzione e di marketing dell’era contemporanea. E’ questa la forza del personaggio, delle sue idee, dell’atteggiamento di chi avrebbe potuto legittimamente trarre benefici economici incalcolabili e che invece ha deciso di investire tutto in un progetto dalla portata colossale presentandosi qui, di fronte a questa platea entusiasta, a proporci valori che pensavamo perduti, a portarci la voce di un’altra America, che francamente ci piace di più.

Concluso l’intervento, il pubblico si riversa sul palco, contro ogni formalità che il luogo imporrebbe, per stringere la mano a Stallman, per chiedere autografi, per scattare foto. E lui, a proprio agio in quel bagno di folla, apre scatoloni con spille, libri, adesivi e gadget di vario tipo.

Ma torniamo all’inizio, a ripercorrere la mattinata di questo seminario, per sintetizzarne brevemente i vari interventi.

Stefano Maffulli, Presidente della sezione italiana della Free Software Foundation Europe, introduce il seminario di fronte a un pubblico composto da non più di una trentina di persone. I relatori sono bloccati nel traffico di Milano e arriveranno alla spicciolata, Stallman, vero motivo di interesse della giornata, sarà presente solo nel pomeriggio, in più è giorno di tesi e le persone che potrebbero fare numero all’interno dell’Università hanno altri pensieri per la testa.
L’attuale modello economico – incomincia Maffulli – derivato dalla rivoluzione industriale ottocentesca costituisce il riferimento legislativo per il settore merceologico, ma, in modo del tutto insensato, viene applicato anche alla conoscenza. Interi alfabeti vengono privatizzati e chi si oppone a questa logica, nel nome della condivisione del sapere, viene bollato come “pirata”. La posta in gioco è il destino della cultura…
L’intervento tocca subito uno dei punti critici dell’attuale situazione del mercato del software: la questione dei brevetti sugli algoritmi e in generale della protezione del codice.

Sul versante filosofico interviene il prof. Paolo D’Alessandro, docente di Filosofia Teoretica. Dopo aver definito il concetto di libertà attraverso la lettura dell’art. 11 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e attraverso la citazione di Sartre sulla libertà come bene collettivo, in quanto condizionata solo dalla libertà altrui, D’Alessandro descrive la posizione del filosofo sul World Wide Web. Cos’è il WWW per il filosofo? E’ un ipertesto in continua evoluzione, il luogo della cosiddetta scrittura elettronica…
Non molto originale, per la verità. Come se per i non-filosofi il Web fosse altra cosa.
Continua l’intervento sulla differenza tra scrittura tradizionale e scrittura elettronica, sulla Rete come sistema complesso in evoluzione, aggregato di parti interagenti, paragonata a un organismo vivente.
Termina con considerazioni già note sulla limitazione di accesso alla Rete: “In Rete si trova tutto, ma non tutti sono in Rete”, e un’introduzione al Copyleft come utopia di una cooperazione creativa.

Se era un tentativo di gettare un ponte tra la filosofia e il software libero, non sembra granché riuscito.
Nel frattempo l’Aula Magna è ancora semideserta, i relatori fanno il loro ingresso come rilasciati attraverso un contagocce, giusto in tempo per non lasciare imbarazzanti buchi in un seminario che ancora stenta a decollare.

E’ il turno di Juan Carlos Gentile e Diego Saravia, esponenti argentini di Hipatia. Presentazione dell’associazione culturale attiva in Argentina, Brasile, Uruguay, ma anche in Cina e in India, e degli obiettivi:

  • promozione di politiche pubbliche, condotte umane e sociali che favoriscano la libera disponibilità, sostentamento e socializzazione della tecnologia e della conoscenza;
  • utilizzo solidale della conoscenza all’interno di un modello economico e sociale costruito sul principio dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani in tutti i paesi del mondo.
    Tema centrale dell’intervento, in chiara polemica con le politiche delle multinazionali del software, evidenzia come non si possa considerare il software binario come opera intellettuale, poiché la forma binaria non è comprensibile dall’essere umano. Opera dell’intelletto sarebbe il codice sorgente scritto dai programmatori, che può stimolare una riflessione, e che i produttori di software si guardano bene dal diffondere. Da qui la contraddizione di tutelare il formato binario del software come opera dell’intelletto.

Sergiu Amadeu, Direttore-Presidente dell’Instituto Nacional de Tecnologia da Informacao del Governo Brasiliano, parla di informazione come elemento economico fondamentale in uno degli interventi più incisivi della giornata. Il software è sempre più l’intermediario dell’intelligenza umana poiché sempre di più la comunicazione umana avviene attraverso i computer, e attraverso i protocolli informatici.
In cinque punti Amadeu espone le motivazioni che hanno indotto il governo brasiliano a scegliere di utilizzare software libero, in considerazione anche del fatto che in Brasile sono molti i buoni sviluppatori di software libero:

1. i linguaggi di base della comunicazione non possono essere monopolio di una corporazione;

2. democratizzazione dell’informazione: quando il codice di un software, che contiene il lavoro e le intuizioni geniali di tanti programmatori, rimane segreto, nessuno può trarne giovamento in termini di conoscenza e di sviluppo di nuove idee;

3. per definizione, un software chiuso è insicuro. Manca uno degli elementi vitali per un utilizzo a livello governativo: la trasparenza. Chi può garantire che il software non comunichi alla multinazionale produttrice del software informazioni critiche per un governo, comportandosi, a tutti gli effetti, come una spia?

4. indipendenza dal produttore del software. Attraverso la licenza GPL, il governo rimane in possesso dei sorgenti del software e può quindi progettare di adattare il software alle proprie esigenze specifiche in modo autonomo, senza dover dipendere dal produttore;

5. sostenibilità economica: un’informatizzazione sostenibile su larga scala non deve essere vincolata ai prezzi imposti dai produttori del software che, in regime monopolistico, possono anche essere del tutto irragionevoli.

Infine alcune considerazioni su come il software libero favorisca innovazione e creatività, poiché quando utilizziamo software libero possiamo essere al tempo stesso utenti e sviluppatori.

La sala è un po’ più affollata, ma tre quarti dei posti sono ancora vuoti, quando prende la parola Giulio Giorello, filosofo della Scienza, che ha fatto il suo ingresso da pochi minuti, reduce dalle lauree.
E’ il secondo, e ultimo, contributo che guarda al problema dal punto di vista della Filosofia. Il discorso di Giorello è brillante, incisivo e critico verso alcuni aspetti della cultura occidentale, in cui conoscenza e informazione sono merci. Cita l’Aeropagitica di John Milton (1644), in cui il poeta inglese si scaglia contro la censura, sostenendo la causa della libertà di stampa e di una riforma intellettuale.
Individua, in questo contesto, quattro caratteri peculiari dell’epoca contemporanea:

1. la diffusione su scala globale di strutture come Internet, con la conseguente necessità di stabilire protocolli comuni, standard universali e aperti.

2. la pervasività delle interconnessioni tra persone, documenti, istituzioni. Da qui la necessità di procedere con investimenti mirati per garantire sempre di più l’efficacia di queste connessioni.

3. la necessità di una chiara separazione tra economia delle cose fisiche e economia delle cose intellettuali: quando la cultura viene “venduta” è possibile fare in modo, al contrario di quanto avviene per le merci, che i contenuti non vadano persi (i contenuti culturali possono essere duplicati in modo che chi vende non ne rimanga sprovvisto).

4. il superamento della connessione lineare che in termini di marketing e di comunicazione lega l’offerta di varietà nell’informazione veicolata (rich) e la percentuale di esposizione dell’audience per un determinato lasso di tempo (reach).

In conclusione dell’intervento richiama un elogio dell’alfabeto, della scrittura e della sua interattività proposto da Galileo e una riflessione di Von Neumann sull’omogeneizzazione dei contenuti nel passaggio dall’analogico al digitale.

Il ponte tra Filosofia e movimento del software libero ha, con questo intervento, acquisito un po’ di solidità ed è un peccato che Giorello non si sia fermato nel pomeriggio per il dibattito dopo l’intervento di Stallman.

La conlusione dei lavori, prima della pausa pranzo, è affidata a Giovanni degli Antoni, uno dei pionieri dell’informatica in Italia e persona che ho sempre stimato enormemente per la chiarezza e la lucidità nell’esposizione. Purtroppo, in questa occasione, la posizione di degli Antoni è stata tutt’altro che chiara, per non dire ambigua. Da una parte era percepibile un interesse e un riconoscimento verso i meriti del movimento dell’Open Source, ma dall’altra si avvertiva un senso di disagio nel delinearne le motivazioni. Questa posizione si è chiarita un po’ nel secondo intervento, nel pomeriggio.
Il problema sembra essere quello della sostenibilità, del fatto che il Free Software si fondi su una sorta di volontariato cooperativo che non garantirebbe il giusto riconoscimento economico agli sviluppatori. Inoltre, vede nella libera distribuzione del software un disincentivo nello sviluppo di prodotti migliori. Per finire con alcuni riferimenti all’attuale panorama internazionale e di come il Free Software possa essere utilizzato per la produzione di armi da paesi ostili all’occidente… Che dire, non me l’aspettavo. Anche il dissenso in sala era piuttosto palese.
Una risposta convincente viene da Amadeu e dallo stesso Stallman. Il Web Server Apache, Open Source, è di gran lunga il più diffuso ed è un software infinitamente più valido rispetto al concorrente sistema IIS di Microsoft. Questo, come altri casi emblematici (compreso lo stesso GNU/Linux), sembra screditare la tesi secondo cui l’Open Source non produrrebbe risultati qualitativamente concorrenziali.

L’ultimo intervento che ho seguito, sono ormai le 17.00 e il seminario volge verso la conclusione, è quello di Fiorello Cortiana, senatore dei Verdi. E’ quasi automatico che le questioni sollevate dal movimento del Software Libero siano facilmente trasferibili ad altri contesti, in particolare alla ricerca scientifica, ai brevetti imposti sul genoma umano, ai quelli sui farmaci. Temi peraltro accennati diverse volte negli interventi precedenti. Cortiana porta le esperienze dei Social Forum, in cui la Rete viene considerata come territorio di scambio, di partecipazione, di condivisione della conoscenza. In Italia, un fenomeno significativo in questo senso è costituito dalle Reti Civiche. Una critica verso la politica, se pensa di applicare simboli e rituali del passato a movimenti come quello del Free Software. E una critica, anzi una condanna, al Decreto Urbani che si muove nella direzione della creazione di uno Stato di polizia su Internet.

In conclusione, credo che eventi come questo siano estremamente salutari per stimolare un dibattito e una rivolta democratica contro stati di fatto che troppo frequentemente ci stiamo abituando a subire, nel nome della salvaguardia degli interessi delle multinazionali (del software, dei farmaci, della musica), con gli appoggi liberticidi dei nostri governi. E’ in gioco la nostra libertà e la sopravvivenza dei popoli di intere nazioni.

Per saperne di più:

  • Sam Williams: Codice Libero, Apogeo, Milano 2003;
  • Bernardo Parrella e Associazione Software Libero (a cura di): Software libero pensiero libero: saggi scelti di Richard Stallman (volumi 1 e 2), Stampa Alternativa, collana Eretica Saggi, 2003;
  • Steven Levy: Hackers, Shake, Milano 1996.

giugno 2004 © altremusiche.it

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