Forrest Fang: “The Blind Messenger”

Michele Coralli
Forrest Fang: “The Blind Messenger” (Cuneiform, Rune 98, 1997)

Musica etnica-elettronica o world-music d’avanguardia? Si tratta di un problema “di frontiera”, come direbbe Franco Fabbri. In casi come questo, i tentativi di classificazione più o meno pittoreschi (trans…, avant…, over…, ecc.) diventano tutto sommato ridicoli, mentre può dare senso un tipo di approccio analitico. Come prendere un disco come quello di Forrest Fang senza ricadere nella solita etichettatura di comodo e senza usare i soliti termini ineffabili, da cui non si sottraggono nemmeno le rassegne stampa delle case discografiche (che sia a monte la causa di tante stereotipizzazioni giornalistiche?). Leggiamo a proposito di Fang: “il risultato è una musica fuori dal tempo, fuori dal luogo; musica evocativa di tutte le musiche, senza essere derivata da nessuno.”

Potremmo invece più semplicemente dire che la musica di Fang ha uno sviluppo ha uno sviluppo lento/espansivo, che si dipana da brevi percorsi armonici costruiti dai suoni elettronici, caratterizzati da una quasi totale assenza di agogica e dinamica (elementi negati anche nel minimalismo più estremo e in certa musica ripetitiva). I frammenti motivici creano frasi brevi, di poche battute, che vengono accostate una all’altra (vedi The Shifting Envelope) e, attraverso un processo di accumulazione, sovrapposte a disegni ritmici ripetitivi. In un tappeto sonoro alquanto immobile, fa capolino, in qualche caso un accompagnamento ritmico-percussivo di tipo etnico (lo stesso Fang, valente polistrumentista, esegue le parti utilizzando varie percussioni indiane e dell’Estremo Oriente), che, assieme alla presenza di timbri esotici come il baglamas (piccolo liuto turco) e altri cordofoni della tradizione popolare orientale, assieme all’utilizzo di strutture scalari modali, contribuisce a creare la ricchezza sonora di questo disco.

Allora è giustificabile parlare di incontro tra una musica fortemente tecnologica, che vive all’interno delle macchine che elaborano digitalmente i suoni e una musica che invece pulsa in una realtà differente e assai distante, determinata dalla denominazione “etnica”, o, secondo la terminologia più attuale che rispecchia la sua modernizzazione (e commercializzazione) world-music. Fang ha infatti compiuto studi sulla musica classica tradizionale cinese, sul gagku (antica musica di corte giapponese) e sul gamelan (musica che fa riferimento ad un complesso strumentale di Giava e Bali, che utilizza prevalentemente metallofoni). Tali competenze vengono espresse nelle creazioni di Fang, che hanno un luogo (o dei luoghi), e un tempo (o dei tempi), dal momento che possono essere riferite alla contemporaneità (la tecnologia) e al passato extra-europeo (la tradizione musicale orientale).

da: «the Auditorium reviews» n1, autunno 1997 © Michele Coralli

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