Edoardo Sanguineti: cultura tra contemporaneità e politica [intervista]

Michele Coralli
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Un’indagine sull’organizzazione di Genova 2004 ci consente di fare il punto dello stato della politica culturale del nostro Paese con uno dei maggiori intellettuali italiani, che, per inciso, ha avuto un ruolo da protagonista all’interno di una delle stagioni più gloriose per la cultura del nostro paese: l’avanguardia storica. Il suo rapporto con Luciano Berio, così come la sua presenza nel Gruppo 63, ne fanno una delle figure chiave nel rapporto secolare tra suono e parola.

«I lavori di Genova 2004 sono molto bene avviati, il calendario è fin troppo fitto, il numero delle manifestazioni è molto alto e nasce un grande imbarazzo nella scelta. Se le cose procedono secondo le linee auspicate, questo 2004 dovrebbe essere un evento importante. La città, come non sempre accade quando si diventa capitali culturali d’Europa, ha fortunatamente preso la cosa molto sul serio, decisa com’è a riformulare la sua immagine dal punto di vista storico e culturale, non solo agli occhi dei turisti italiani e stranieri, ma anche agli occhi dei cittadini stessi, perché prendano meglio coscienza della propria storia, del proprio passato, dei propri tesori che la città non ha ancora adeguatamente manifestato».

Lei ha fornito un suo contributo?

«Dal punto di vista organizzativo no. Mi sono limitato a qualche suggerimento, quando sono stato consultato su alcune situazioni che mi erano care. Dal punto di vista della partecipazione ci sono alcuni appuntamenti che mi attendono e sono connessi al Festival internazionale di poesia, che si tiene annualmente, ma che quest’anno avrà un impegno più forte che in passato».

Genova 2004 punta molto al rafforzamento delle realtà già operanti sul territorio.

«Credo che la cosa più positiva sia proprio quella di non puntare molto sull’effimero, quantunque questo abbia la sua importanza, quando gli spettacoli o le esposizioni sono ben scelti. Però Genova ha colto anche l’occasione per provvedere a una sua strutturazione. Rimettere in ordine, rendere collegati, praticabili ed economicamente accessibili musei, palazzi e monumenti, e pensarlo di fare in termini di durata, ad esempio con le nuove collocazioni delle biblioteche, oltre che delle facoltà universitarie, significa pensare ad un rilancio della vita culturale cittadina non soltanto per l’anno in corso, ma piuttosto come un momento iniziale».

In questo modo non c’è il pericolo di rafforzare anche una certa routine e di reiterare un sostanziale conformismo culturale, piuttosto che stimolare l’invenzione?

«Questo è un problema che si pone quando si cerca di valutare quali sono le forze presenti sul territorio. Se in una città esistono degli artisti o degli scrittori attivi, dei centri culturali, questa è l’occasione giusta per esibire quello che la città è capace di proporre, anche innovando o arricchendo con uno sforzo ulteriore quelle che sono le energie già presenti. Ho l’impressione che questo sia un momento difficile per la vita culturale, non solamente in Genova, anche se questa città deve colmare dei ritardi di acculturazione. Questo è un problema che va al di là dell’anno che consideriamo. La realtà è che su molti terreni, non dico che siamo in una sorta di vicolo cieco, ma certo il momento innovativo non è molto forte e questa è una cosa che pesa, non soltanto sulla cultura nazionale, ma anche su quella europea e internazionale. Se si pensa alle grandi esposizioni d’arte, ai festival cinematografici o quelli musicali non si ha l’impressione di essere dinnanzi a un momento particolarmente ricco e florido. Ci sono molti giovani promettenti, qui come altrove, ma non mi pare che si presentino come una sorta di nuova ondata, come è avvenuto in certi decenni del Novecento, in cui di colpo esplodevano energie più forti. In più devo aggiungere che, oltre a questa sorta di stagnazione – quando non regressione, con ritorni neotonali, neoromantici o neo-orfici e tutto quello che è passato nell’ingorgo molto confuso del postmoderno, spazio serio solo sul terreno architettonico – esiste anche un’aggravante che è la crisi economica. La politica attuale del Governo e in generale di tutto l’Occidente, per non dire del mondo intero, procede a tagli molto forti e benché tutti proclamino a voce alta l’ottimismo e la ripresa, le difficoltà sono molte».

Oltre ai finanziamenti per fare l’arte, ci vuole anche l’artista.

«Infatti, come dicevo c’è un certo ristagno nell’iniziativa, nel rinnovamento e nella produzione culturale, e quello che si vorrebbe fare non è così garantito perché l’arte costa. Per scrivere un libro di versi non occorrono grandi sforzi, ma se pensiamo alle opere d’arte figurative o architettoniche, ai costi del teatro musicale, i problemi diventano molto forti. Sarebbe bello se con poco si riuscissero ad approntare occasioni per cercare di avere quello che oggi si produce tanto in Canada come in Cina. Ma queste cose oggi hanno dei costi fortissimi».

Secondo lei non si potrebbe iniziare a pensare una certa avanguardia come un momento che appartiene alla nostra tradizione da valorizzare?

«Recentemente ho saputo che erano state previste alcune manifestazioni in onore di Dallapiccola, i cui finanziamenti però sono stati tagliati a causa dell’economia attuale condotta dal Governo – che cerca di tagliare dove non c’è profitto privato -, con l’argomento che Dallapiccola non era una figura di portata europea e internazionale. Lasciamo stare l’assurdità del giudizio, ma se capiamo che il nostro primo ministro dice che i nostri Istituti Italiani di Cultura devono diffondere il made in Italy, anziché preoccuparsi della lingua di Manzoni, si capisce che questa è una linea culturale che imprime una politica economica molto precisa. Nella condizione italiana in cui l’approdo alla modernità è imparagonabile per deficit di fronte ad altre culture europee – perché queste cose non accadono in Inghilterra, Francia o Germania, dove esiste un pubblico colto per il quale il Novecento è famigliare quanto l’Ottocento -, qui da noi occorre superare tante diffidenze e ritardi. A Genova, che è stata una città per lungo tempo culturalmente abbastanza emarginata, il lavoro è più faticoso che altrove. Pensavo la città di Paganini avesse l’occasione di fare un grande festival dedicato alla storia del violino, andando anche sopra il Novecento. C’è un Premio Paganini internazionalmente noto: ecco allora l’occasione! Ma mi rendo conto concretamente che se poi si pensasse a eseguire la letteratura attuale per violino solo, o per violino e pianoforte, e fare una grande rassegna dei capolavori del Novecento, non so quanto consenso si troverebbe, non solo nel pubblico genovese, ma anche dal punto di vista turistico, in un momento in cui anche il turismo culturale è in crisi».

Paradossalmente turismo e cultura sembrano spesso dissonanti tra loro, forse proprio a causa di una mentalità orientata al “made in Italy”?

«La prospettiva di eventi culturali sempre più connessi all’industria del turismo è un guaio perché, pur considerando che questa è una opportunità, bisogna rendersi conto che questa industria turistica fiorisce molto di più orientandosi verso delle occasioni di squisita mondanità, dove conviene nel senso più superficiale della parola dire di essere stati, che non per quello che potrebbe essere un moderno grand-tour, approfittando delle attuali possibilità di movimento, che in passato comportavano una lussuosità difficilmente sostenibile. In realtà oggi tutto quello che era la speranza del grande sviluppo dell’industria turistica ha grandi difficoltà pratiche ed economiche, perché si tagliano i posti di lavoro e perché il costo delle cose è disperato».

Un sistema che da questo punto di vista sta impazzendo.

«Ahimè, è già impazzito. D’altra parte siamo in un’epoca che alla reazione politica accompagna una posizione di reazione culturale in senso conservatore. Naturalmente speriamo che sia un’epoca breve e che si concluda, non con una catastrofe come purtroppo in gran parte tende a delinearsi, ma con una risposta creativa e positiva, non solo in Italia, non solo in Europa, ma ormai, come è naturale in piena globalizzazione, a livello planetario».

da “Amadeus”, n. 174, 2004 © altremusiche.it / Michele Coralli

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