Diplofona Sainkho [intervista]

Michele Coralli
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Sainkho Namtchylak ha coniugato in gran parte delle sue esperienze musicali ricerca folclorica e sperimentazione. Il suo nome rimane oggi maggiormente legato a contesti creativi come quello della casa discografica FMP di Berlino e a collaborazioni importanti come quella con Evan Parker, il cui fortunato esito è racchiuso nella pubblicazione di Mars Song (Victo). Proveniente da Tuva, regione della Siberia centro-meridionale, Sainkho discende da una famiglia nomade, si perfeziona negli studi musicali prima presso l’università locale e successivamente a Mosca, interessandosi alle tradizioni musicali siberiane contadine, sciamaniche e lamaiste. La sua professione di cantante viene messa a frutto all’interno del Tuvan State Folk Ensemble Sayani e successivamente attraverso i musicisti e i compositori sovietici più interessati alla contaminazione. Ha fatto parte del gruppo Tri-O che l’ha portata a farsi conoscere in Occidente, dove ha potuto inserirsi all’interno di diverse correnti di musica improvvisata e contemporanea.

Il suo modo di cantare, molto particolare, che fa riferimento alla modalità tradizionale tuvana della diplofonia, ovvero la contemporanea emissione di due suoni – l’unico in Italia ad essere stato in grado di fare cose del genere è stato Demetrio Stratos di cui basti ricordare il brano Investigazioni (diplofonie e triplofonie) – ha creato molto interesse attorno alla sua figura da parte dei musicisti radicali, inizialmente, e dei culturi della spiritualità scaimanico-newage nei tempi attuali. Oltre alla caratteristica struttura armonicale, il canto tuvano possiede doti espressive quali la grande asprezza, la marcata gutturalità e l’utilizzo di suoni “di testa”, che sorprendono per la loro origine quasi sovrannaturale. Il carattere sciamanico di Sainkho lo si scopre proprio in queste caratteristiche che sono sempre state prerogativa di controllo e manifestazione di potere da parte di sciamani, stregoni e monaci buddisti.

L’occasione della presentazione del disco Naked Spirit (Amiata), produzione che asseconda un certo gusto per il rilassamento aproblematico, ci offre la possibilità di fare qualche domanda a Sainkho a partire da quello che pensa del rapporto tra la tradizione e la modernità, secondo la sua esperienza di musicista in bilico tra folclore e avanguardia musicale.

“Tutto ciò che è nuovo – dice la cantante – non è altro che qualcosa che proviene dal passato e che è stato dimenticato. Non c’è mai nulla di completamente nuovo. Nell’arte in particolare sembra tutto innovativo, ma, in realtà, c’è sempre un vecchio decoro all’interno di ogni espressione. Per me non c’è una profonda distinzione tra la tradizione e la modernità, esiste bensì qualcosa che possiamo definire i colori, i disegni, i differenti materiali, che vengono combinati. Tradizione significa conservare la storia dentro di sé, modernità invece trovare un nuovo aspetto, un nuovo vestito alla tradizione.”

Termini come Avanguardia e New Age sono quindi per lei un modo di interpretare ciò che proviene dalla storia?

Essendo un’artista non posso sottoscrivere una definizione valida. Questo è un aspetto che riguarda più il versante della musicologia. Non penso mai se quello che faccio appartiene più all’Avanguardia o alla New Age. Trovare le definizioni non è il mio lavoro. Cerco di esprimere uno stato d’animo e lo presento al mondo. Non voglio combattere contro l’abbattimento degli steccati che esistono tra i generi musicali. Cerco solamente di essere fedele ai miei ideali estetici, anche se non è una cosa facile.

Si riferisce al fatto che tra mercato e creatività non esiste un rapporto privo di attriti?

Io credo di sentirmi libera, ma penso che non sia facile sopravvivere all’interno di questo mercato che pretende sempre di inserire la musica all’interno di categorie specifiche. Se operi dei cambiamenti infatti, crei dei problemi al mercato. Io cerco di essere onesta con me stessa, facendo quello che davvero mi piace.

Lei ha lavorato in diversi contesti produttivi, come la casa discografica berlinese FMP (Free Music Production). Come ha vissuto quell’esperienza rispetto ad altre?

Non è possibile fare un paragone tra FMP e altri contesti produttivi. Con loro ho avuto la sensazione quasi immediata di come certe cose andavano fatte, senza che nessuno mi dovesse dire nulla.

Collaborerà ancora con musicisti come Evan Parker?

Lo spero proprio. E’ molto difficile suonare con lui, ma questo è un motivo di forte stimolo. L’approccio musicale con Evan Parker diventa un’esperienza davvero interessante per un musicista. Spero che questo accada ancora.

da: “il Giornale della Musica”, n.143, 1998 © altremusiche.it / Michele Coralli

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