Charlie Haden: “Liberation Music Orchestra”

Michele Coralli
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Charlie Haden: “Liberation Music Orchestra” (Impulse!, 1970)

“The music of this album is dedicated to create a better world; a world without war and killing. without racism, without poverty and exploitation; a world where men of all governments realize the vital importance of life and strive to protect rather than to destroy it. We hope to see a new society of enlightenment and wisdom where creative thought becomes the most dominant force in all people’s live”.

Segue un elenco dei musicisti che annovera niente meno che Don Cherry, Sam Brown, Andrew Cyrille, Paul Motian, Carla Bley, Dewey Redman, Gato Barbieri, Roswell Rudd, Michael Mantler e tanti altri.

Infine la scaletta che amalgama in una lunga suite Song Of The United Front (Brecht / Eisler), canti della Guerra di Spagna come El Quinto Regimiento / Los Cuatro Generales / Viva La Quince Brigada, alcune composizioni originali come Song for Chè e Circus ’68 ’69 entrambi di Haden (quest’ultimo dedicato alla tumultuosa Convention democratica di Chicago di due anni prima), poi War Orphans di Coleman, una manciata di brani della Bley The Introduction, The Ending To The First Side e The Interlude (Drinking Music) e si chiude con l’inno We Shall Overcome.

Insomma basterebbe la pura anagrafe di questo progetto voluto dal contrabbassista Charlie Haden per dare il senso generale di questo capolavoro assoluto. Siamo in un’epoca in cui omaggiare Guevara o dirsi di sinistra non fa notizia nemmeno negli Stati Uniti. Eppure, al pari di altri evidenti scelte di campo – limitatamente al free il pensiero corre subito ad Archie Shepp – questo grande combo orchestrale ha in sé il pregio ideale dei grandi slanci utopistici, quelli in cui il collettivo diventa metafora di un’organizzazione basata prima di tutto sulla convivenza e l’uguaglianza. Gli inni tratti dal real book della musica di liberazione pescano dai canti del Fronte Popular spagnolo o dal comunista Hans Eisler, aggiungendo però alla lista anche brani come Song for Chè, indimenticabile nella sua struggente melodia latina al contrabbasso solo attorniato da decine di sonagli e campanellini: una vera e propria icona musicale diventata corrispettivo jazzistico del ritratto fotografico del Guevara. Insuperato il punto d’arrivo raggiunto anche dagli arrangiamenti della Bley, mai così a suo agio in una compagine orchestrale di tale livello. Del resto, con una tavolozza di colori simili, in molti avrebbero superato se stessi. Banalmente quindi: un disco fondamentale per chi ama il jazz e non solamente quello.

2008 © altremusiche.it

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